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L’UNIONE SARDA – ATENEIKA, BUD SPENCER BLUES EXPLOSION “SIAMO DUE DA VECCHIA SCUOLA”

Tratto da L’UNIONE SARDA – domenica 3 giugno 2018 / Spettacoli e Società (Pag. 50 – Edizione CA)

C’è un modo di dire negli States: «Eat sleep blues repeat»: mangia dormi blues ripeti: è la vita del bluesman, quella che a quattro anni dall’ultimo “BSB3”, ha portato Adriano Viterbini (chitarra) e Cesare Petulicchio (batteria) al nuovo “Vivi muori blues ripeti”. Una visione allargata e italianizzata del motto americano, per un quarto disco, anticipato dal singolo “E tu?” e prodotto da Marco Fasolo dei Jennifer Gentle, coraggiosamente diverso dai precedenti del duo romano. In evoluzione, sin dall’omonimo esordio del 2008, i Bud Spencer Blues Explosion, fiore all’occhiello dell’alternative rock italiano, a tre anni dall’ultimo passaggio in Sardegna, torneranno live con un’unica data, martedì, al festival AteneiKa di Cagliari.
“Vivi Muori Blues Ripeti” è un disco diverso dai precedenti, da che idea di fondo è nato?
«C’eravamo sempre soffermati su chitarra e batteria, limitandoci un po’, perché ci ponevamo il problema di come ricrearlo dal vivo. Questa volta invece abbiamo optato per un disco completo, che ci piacesse totalmente, così abbiamo introdotto altri strumenti, sempre suonati da noi».
Che vissuto è entrato nell’album?
«La fase di scrittura e di produzione sono state molto lunghe. Già quando ci siamo lasciati dopo lo scorso tour, per cui abbiamo fatto tanti concerti, avevamo bisogno di un po’ di pausa. Poi ci siamo rivisti, ma più che altro per la voglia di risuonare insieme, non volevamo metterci in studio a lavorare con l’idea di impacchettare dei pezzi per farli uscire. Ci serviva un’idea di libertà in quel momento e dopo un anno e mezzo di jam in sala, anche con altri musicisti, che poi hanno collaborato soprattutto ai testi, come Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti e Umberto Maria Giardini, ci siamo accorti che avevamo dei brani coerenti, con un filo conduttore per stare sullo stesso disco».
Quale?
«È stato quasi magico, perché anche se sono stati scritti da autori diversi e senza alcuna indicazione da parte nostra, tutti i testi hanno la stessa ispirazione e parlano di rapporti di amicizia, introspezione personale, rapporti legati alla dipendenza, rapporti fra la vita e la morte».
Cosa vi lega artisticamente a Davide Toffolo e Umberto Maria Giardini?
«Il fare musica e collaborare per la voglia di farlo, soprattutto di questi tempi, in cui le collaborazioni nascono per rapporti di etichetta o scambio di followers. Noi apparteniamo alla vecchia scuola, suoniamo per una questione esclusivamente artistica, vogliamo fare dei dischi che restino nel tempo e prendiamo questi incontri come un arricchimento culturale».
A proposito di old school, il disco lo avete inciso tutto su nastro analogico.
«I pezzi erano molto soul, quindi è stata una scelta tecnica per renderli al meglio e avere quel tipo di pasta sonora, e artistica, perché su nastro analogico non puoi editare, quantizzare, intonarti, quindi hai un tipo di concentrazione diversa nell’esecuzione. Poi è stato anche un processo psicologico, dopo dieci anni che suoni insieme hai bisogno di accettare ciò che sei, con tutti i pro e i contro».
Siete in costante evoluzione, ma cosa non è mai cambiato per voi?
«Ci piace la sfida, camminare su un filo tra due grattacieli, non c’è un motivo reale per cui lo fai, ma il solo fatto di prendersi il rischio porta sempre a qualcosa di nuovo, di imprevisto. Se non altro non sai mai come andrà a finire».

[Cinzia Meroni]
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